“Sono la persona più innamorata del mondo”, “Nessuno ti amerà mai come ti amo io”. Ecco due frasi che esprimono una sensazione mai verificabile e perciò mai vera, che gli innamorati spesso si sussurrano l’uno all’altro. È una di quelle cose che si dicono pur sapendo che non hanno alcun fondamento certo di verità, se non altro perché l’amore non è misurabile, ma che ci fanno star meglio quando le pensiamo, perché conferiscono al nostro amore il carattere dell’unicità.
Oggi questo concetto io lo voglio esprimere a proposito di un posto: credo che nessuno ami Torre del Lago Puccini come me. Qualcuno dirà: che nome strano! Una torre, un lago e un musicista. Infatti è un luogo per lo più sconosciuto nel mondo, anche in gran parte d’Italia, tranne che nella cerchia dei melomani. È un piccolo paesino incastonato fra tre gioielli della natura: il mar Tirreno, una vasta pineta che corre lungo il litorale e il lago di Massaciuccoli. Una località che si è sempre accontentata di passare per la cugina povera di Viareggio, per la lontana parente campagnola della ricca Forte dei Marmi situata a pochi chilometri e molti euro di distanza. Fino a qualche decennio fa c’erano poche case, molti campi coltivati a vite o mais e pochi stabilimenti balneari. Negli anni ’70 iniziò anche qui il boom edilizio e molti fiorentini, pratesi, pistoiesi e lucchesi si fecero qui la seconda casa, la casa al mare. Uno di questi fu mio padre e da allora per molti anni io ho passato qui i tre mesi estivi che intercorrevano fra la promozione e il successivo anno scolastico. E’ qui che ho vissuto il primo senso di libertà nelle giornate interminabili passate a girare in bicicletta, il processo di emancipazione dai genitori, i primi amori, il primo bacio. Insomma questa terra è stata il teatro dei miei più importanti “riti di passaggio”. Era come se d’inverno la mia crescita si congelasse per 9 mesi di studio e di noia per poi scattare, a velocità accelerata, in quei gloriosi novanta giorni benedetti dal sole e dal mare, in compagnia di ragazze, amici e spensieratezza.
Si capirà quindi che nel parlare di questo luogo sono assolutamente di parte. Ma, si può chiedere ad un innamorato di essere imparziale?
Dei tre riferimenti geografici che citavo prima, il mare qua non è niente di speciale, è anche piuttosto sporco e poi il Tirreno c’è dalla Liguria alla Calabria. La pineta è ancora bella, anche se negli ultimi anni c’è stata una moria di Pini e Tigli secolari, molti dei quali hanno dovuto essere abbattuti. Ma quello che oggettivamente è ancora un posto magico, è il lago. Parlo del belvedere che appare alla fine della strada che dall’Aurelia viene a morire qui sulla riva del lago di Massaciuccoli.
Ad un certo punto, dopo la sbarra che impone di lasciare l’auto e di proseguire a piedi, si arriva su questo ampio spazio in cui ci si incontra, in ordine sparso, con:
la quiete di un paesaggio senza motori, la leggera malinconia delle acque appena mosse del lago, un pontile di legno, la verde immobilità delle colline che dividono la sponda opposta dalla città di Lucca, la palla rossa del sole che spunta dietro di esse se è l’ora dell’alba, i canneti da cui si ascolta la voce delle rane se è una sera d’inizio estate, un tranquillo porticciolo con una piccola scuola di vela, le panchine, gli alberi frondosi, la pace assoluta, qualche ristorante, di cui uno piantato a palafitta proprio dentro il lago e un teatro all’aperto.
Nello sforzo di essere il più oggettivo possible, devo ammettere che fin qui si tratta di cose che si trovano intorno a molti laghi, niente di veramente unico. Ma sulla riva di questo lago qui c’è anche un’altra cosa, che è poi ciò per cui questo belvedere e questo teatro sono stati costruiti.
C’è la villa nella quale Giacomo Puccini, il cui nome è stato aggiunto poi alla torre e al lago del toponimo, ha vissuto per quasi 30 anni e ha composto i suoi capolavori più famosi: La Bohème, Tosca, La Fanciulla del West e Madama Butterfly. E questa non è roba da poco. Le melodie che da più di cento anni si ascoltano in tutti i luoghi del pianeta sono nate qui. Sono stati i pochi pescatori e contadini che abitavano su queste sponde a sentire per la prima volta uscire dalle finestre aperte di questa casa affacciata proprio su questo lago le note di “Che gelida manina”, “E lucevan le stelle”, “Un bel di vedremo” e di altre arie immortali. Pensate che storia: passare in barca e sentire Giacomo Puccini che al pianoforte sta componendo un brano di Tosca, magari cambiando un finale, ripetendo un passaggio, scartandone un altro. Sicuramente questi popolani non erano esperti di musica, ma sapevano già che era toccata loro la fortuna di avere un genio come vicino di casa. Infatti quando Puccini comprò questa abitazione e ci venne a vivere, aveva già riscosso un grande successo con Manon Lescaut (1893) ed era già da molti considerato il solo erede degno del sommo Verdi. Dopo il trionfo di Bohème poi, nel 1896, i molti diventarono tutti e tale primato non fu più messo discussione. Se si pensa poi che in quel periodo il melodramma era il genere più diffuso non solo fra le classi colte ma anche fra il popolo, possiamo stare certi che gli abitanti di questo piccolo borgo tagliato fuori dalla civiltà fossero più che consapevoli che stavano vivendo accanto ad uno degli uomini più geniali e più famosi al mondo.
La villa Puccini è ancora oggi come era quando lui ci viveva. Si può visitare il suo interno dove c’è ancora il suo pianoforte, i suoi mobili e i suoi fucili da caccia. C’è anche lui, per chi crede che i morti siano dov’è rimasto il loro corpo. La stanza dietro al salotto è stata trasformata in una cappellina dove sono sepolti oltre al Maestro, sua moglie, suo figlio e la nuora. Davanti alla villa c’è il teatro all’aperto, dove dal 1930, cioè 6 anni dopo la sua morte, si svolge il Festival Pucciniano, voluto dal collega e conterraneo Pietro Mascagni, che ne fu anche il primo direttore.
Ma al di la di quello che si vede in questi luoghi, è quello che si sente ad essere unico; o meglio quello che si può sentire se ci si sintonizza su determinate frequenze emotive. È proprio ciò che non si offre alla vista a rappresentare il fascino di questo posto. È quel richiamo misterioso che esercita il passato quando, per una serie di concause, viene a visitarci nel presente in modo così tangibile. Guardando queste acque, questi canneti e queste colline non riesco a smettere di pensare che questo paesaggio sia finito, purificato da una sorta di distillazione creativa, in quella musica. Quelle onde leggere sono diventate note fluttuanti nelle nostre orecchie, le curve di quelle colline sono evaporate in morbide frasi melodiche. C’è voluto l’incontro fra la bellezza di questi luoghi e la sensibilità di un artista fuori dal comune. Sono assolutamente convinto che se Puccini avesse composto in un altro luogo, le sue musiche suonerebbero in modo diverso. Né migliore né peggiore. Semplicemente diverso. La sua musica più bella e più ispirata è inseparabile da questo posto. Ecco perché lo amo, come nessuno lo ha mai amato. Se continuo testardamente ad affermare questo mio primato è perché vedo la gente arrivare qui e continuare a parlare, telefonare, urlare, ridere, mangiare il gelato, come se niente fosse; come se questo fosse un luogo come un altro. Non è una critica: è solo ciò che giustifica la mia stolta presunzione di esserne l’unico veramente innamorato. Perché io quando vengo qui non ce la faccio a far finta di nulla, a seguitare con quello che stavo facendo prima. Ho bisogno di prepararmi all’alluvione di emozioni che mi investirà. Lascio tutto il resto fuori e respiro lo spirito di questo scampolo di terra, che mi passa da parte a parte. Mi succede anche in altri luoghi. Pochi. Uno è piazza del Duomo a Milano. Ogni volta che ci passo e sono per esempio al telefono dico: “ti richiamo fra 5 minuti” e me lo respiro a fondo. Sono quei posti che richiedono tutto me stesso, che se lo meritano. È una sorta di religione laica, se mi si permette l’ossimoro. Credo che sia principalmente il fatto che mentre ti trovi lì, senti di entrare in contatto con chi ci è passato prima di te. Sia che si tratti della moltitudine che ha passeggiato davanti a quella cattedrale negli ultimi seicento anni, che di un unico uomo di genio che ha attinto da quel paesaggio l’ispirazione per la sua arte. È quello stesso anelito che non mi permetterebbe di vivere fuori dall’Europa, l’unico continente al mondo dove la storia antica convive con il presente, dove l’avvento dell’oggi non provoca un reset di ciò che c’era prima, come quando ti muore il computer e non avevi fatto il backup su iCloud.
Tornando al mio amore assoluto per Torre del Lago, in realtà c’è una persona con cui posso dire di condividerlo. Ed è proprio lui, Giacomo Puccini. Perché lui lo ha espresso a parole e lo ha dimostrato con i fatti: tutte le volte che si trovava in giro per il mondo dove la gente lo onorava, lo adorava e lo celebrava con cene e ricevimenti sontuosi, lui non vedeva l’ora di tornare in questo suo rifugio che così definì in una sua lettera:
«Torre del Lago: gaudio supremo, paradiso, eden, empireo, turris eburnea, vas spirituale, reggia: abitanti centoventi, dodici case».
E questo paradiso scorre transustanziato nella sua musica, come nel famoso e sublime coro a bocca chiusa tratto dalla Madama Butterly che, per stessa ammissione del Maestro, gli fu ispirato dal suono del vento che muove le canne del Lago e con il quale chiuderò questo umile omaggio a questa terra e a questo genio.
Sì. ..leggere questo tuo racconto…in queste calde giornate…mi ha rinfrescato il cuore e la mente.. riesci sempre ad esprimere i tuoi pensieri in modo chiaro e puntuale…e qui riesco a trovare una vicinanza al tuo sentire…vicinanza che con te non è scontato ottenere in altri ambiti….grazie
Antonella C.
Emozione pura. Spero un giorno di poter visitare questo Luogo.
caro Stefano, leggerti è sempre un piacere! questa volta mi hai fatto tornare indietro negli anni, anzi parecchi anni. Proprio a Torre del Lago ho trascorso la mia prima vacanza lontano dai genitori, prima esperienza in tenda con il mio primo fidanzatino. quindi anche per me è stata una località “magica”, sia per la sua bellezza, sia per la sua storia e naturalmente sia per le nuove e prime emozioni che ho provato.
Grazie.
La religione laica ha una spiritualità senza dogmi e preghiere imparate a memoria. L’unica regola è sentire la propria vita e non viverla soltanto; l’unica memoria è quella storica dei propri giorni e delle proprie esperienze. Si amano tanti luoghi visitati per svago o per lavoro…ma dove nasci, dove cresci e conquisti te stesso è il luogo dell’amore incondizionato….