Guida alla bellezza

Si possono insegnare le emozioni?

Si può portare una persona ad emozionarsi di fronte ad un qualcosa che, senza una guida, non susciterebbe in lei il minimo interesse?
Se seguiamo il principio, difficilmente confutabile, della spontaneità e immediatezza degli stati emotivi legati a sollecitazioni estetiche (cioè quelle provenienti dai nostri sensi) dovremmo concludere con una risposta negativa.
Si può ordinare a qualcuno di amare Bach? Di commuoversi ascoltando la quinta sinfonia di Mahler o di incantarsi estasiato di fronte alla Venere del Botticelli? Ovviamente no.
Eppure, da quando insegno nelle scuole superiori ho una posizione diversa in merito. Continua a leggere

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L’indifendibile leggerezza del Tango (delle origini)

Il Tango Don Juan

Per spiegare il tipo di evoluzione della musica del Tango dalle sue origini, cioè dal 1880 circa, alla sua cosiddetta Epoca d’Oro, che coincide pressappoco con gli anni ’40 del Novecento, mi è sembrato utile seguire le vicende di una canzone in particolare: il Don Juan, una delle prime composizioni di Tango di cui si abbia notizia certa. Ascoltare le diverse interpretazioni che le varie orchestre hanno dato di questa partitura ci da la misura del cambiamento che la sensibilità e i gusti del pubblico hanno subito nel corso di quasi mezzo secolo e della varietà di stili, colori e umori che possono concentrarsi sotto la parola Tango. Continua a leggere

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Dire tanto con poco

I testi di Homero Manzi

Il problema principale della comunicazione è che spesso si dice troppo. Tutti dicono tutto, tutti esprimono, tutti raccontano, descrivono, commentano, esternano, copia-incollano, “likeano”. In un momento storico in cui i mezzi di comunicazione aumentano giorno dopo giorno in modo esponenziale, tutti abbiamo sempre la parola, tutti abbiamo il microfono aperto, costantemente.
Non dico che questa estrema democratizzazione della comunicazione pubblica sia necessariamente un male. Sarebbe una contraddizione palese da parte mia asserirlo, io che ho aperto questo blog per dire delle cose. Rifletto solo sul fatto che, così come una camicia, al centesimo lavaggio, mostra segni di consunzione sul colletto, anche le parole, più vengono usate e più si consumano.
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“Qual è la tua orchestra preferita?”

Penso che sarà successo a molti dei miei colleghi maestri di Tango, o anche a ballerini e frequentatori di milonghe, di non saper rispondere alla domanda: “qual è la tua orchestra preferita”? Non si sa rispondere semplicemente perché dipende dal momento. Almeno, per me, funziona così e mi sembra abbastanza normale. È un po’ come se ti chiedessero qual è il tuo indumento preferito. Se te lo chiedono a dicembre, la risposta sarà sicuramente diversa da quella che uno darebbe a luglio.
Con le orchestre di Tango è un po’ lo stesso. Si va a periodi. Continua a leggere

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Il Tango oltre il Tango

In molti anni di insegnamento del Tango argentino, prima a Londra in pianta stabile fino al 2012 e poi in seguito in Italia, ma nel frattempo anche in vari paesi europei e asiatici incluso l’Indonesia e l’India, ho visto molti allievi che, provenienti da diverse culture e con diverse caratteristiche, talenti, predisposizioni e difficoltà, sono passati attraverso la salida basica, gli ochos, i vari giri e tutti gli altri elementi del vocabolario di questa danza, per diventare parte integrante del mondo del tango. E tutt’oggi, ad ogni nuovo trimestre assisto all’arrivo di nuove facce, gambe e corpi che arrivano per cominciare la loro avventura, attratti da questa parola di cinque lettere densa di risonanze, di fascino e di mistero.
Già, ma attratti da cosa esattamente? Che cosa cerca la gente, consapevolmente o meno, nel Tango? O meglio, cosa c’è nel Tango, a parte il ballo, che fa bene alle persone che vi si appassionano? Continua a leggere

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Juan D’Arienzo.

La rivoluzione restauratrice

Le cose non sono mai solo ciò che sono. Semplicemente perché non sono, ma appaiono. O meglio, saranno anche, ma, per noi, “sono” solo nella misura in cui ci appaiono. Quindi possiamo solo conoscere come si manifestano a noi e mai ci è dato di sapere come le percepisce un’altra persona. Non solo, ma addirittura una stessa cosa ci si mostra a volte molto diversa (e quindi, per noi, è molto diversa) se la percepiamo in momenti differenti della nostra vita. Senza dover andare a ripassare Kant, Sartre o Pirandello, il che – detto per inciso – non farebbe affatto male a nessuno, portiamo il discorso su un piano più quotidiano. Continua a leggere

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D’Arienzo e Troilo: dal giorno alla notte.

La difficoltà di irretire il tango in una qualche definizione esatta, di tracciarne un’identità che ne evidenzi con chiarezza i contorni e i confini è insita nella sua natura di genere poliedrico, sorto da un crogiolo di culture e influenze anche molto distanti fra loro (ritmi africani, melodie italiane, canti popolari dell’est europa, strumenti tedeschi ecc) che hanno avuto in comune solo il fatto di trovarsi a passare, ad un tempo dato, per il porto di Buenos Aires.
Il tango è un fenomeno tanto affascinante quanto sfuggente e sfaccettato. Prova ne è che i due stili interpretativi proposti in questo articolo, quello di D’Arienzo e quello di Troilo, pur nella loro diversità per certi versi antitetica, possono coabitare a buon diritto dentro il grande e accogliente tempio del tango argentino.
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La prima volta in cui fui invitato a scrivere sul Tango

Qualche anno fa, quando vivevo a Londra, ho avuto l’onore di conoscere Edna O’Brien, la grande scrittrice irlandese autrice di molti romanzi di successo, tra i quali il famoso e scandaloso The Country Girls (in italiano Ragazze di campagna) con cui, negli anni ’60, scosse il puritanesimo della sua cattolicissima Irlanda.
Mi è anche successo, tramite una comune amica, di ballare un tango per lei nel giorno del suo ottantesimo compleanno e di vederla emozionata e commossa per quel regalo inaspettato.
Dopo quel giorno mi chiese di scrivere qualcosa per lei, Continua a leggere

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Gli assoli di Troilo. I 9 secondi più belli della storia del tango

Perché ci affascina l’arte? E perché l’uomo, unico tra i mammiferi, ha inventato questa forma strana di attività “inutile” che lo distrae dagli scopi utilitaristici legati alla lotta per la sopravvivenza e per il miglioramento delle sue condizioni pratiche di vita? Sono state date milioni di risposte a questa annosa domanda fin da quando il nostro antenato preistorico, fra una battuta di caccia e l’altra, ha sentito il misterioso bisogno di raffigurare scene di vita sulle pareti delle sue caverne.
Una di queste può essere la seguente:  Continua a leggere

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