Se un giorno di inverno…
Se un giorno d’inverno, per di più particolarmente freddo, guardi il calendario e quello dice “25 giugno”, allora ti rendi conto che ti trovi in un posto strano. Un posto strano per te, che non ti sei mai sognato di mettere in discussione l’associazione tra giugno e i primi bagni; tra giugno e la promozione; tra giugno e la libertà dai maglioncini alla sera e dalla scuola alla mattina; tra giugno e le fette d’anguria, i primi amori estivi e le zanzare. Per te che ci sei pure nato in giugno, anche se proprio alla fine, e tua madre ti raccontava sempre del caldo insopportabile che faceva quel giorno quando, alle 13.10, quindi con il sole allo zenit, decidesti, o chi per te, di fare capolino sul mondo.
Ecco, questo posto può diventare anche surreale se quando scendi in strada vedi che la città è totalmente vuota e ci sei quasi solo tu lì in mezzo. Questo però si sapeva da giorni: sciopero generale in tutta la Repubblica Argentina. Il più grande da molti anni. Tutto fermo, treni, bus, scuole, uffici, taxi, biblioteche, distributori di benzina e perfino molti negozi privati, che hanno ritenuto inutile aprire sul deserto che si profilava. Qua gli scioperi li sanno fare bene, niente da dire.
E allora si va in campagna, nel podere di un amico che ha scelto questo giorno di ozio forzato come quello ideale per un “asado” lontano dalla città. Avevo capito che ci sarebbero state altre persone, ma alla fine siamo solo noi due e 7 anni di arretrati da raccontarci a vicenda.
Con la metropoli alle spalle, si entra in uno scenario diverso, come girare pagina. Te ne rendi conto quando ad un incrocio ti passa davanti, con calma, un ragazzo a cavallo e con lo zaino dei libri in spalla. Probabilmente ha tentato testardamente di andare a scuola a dispetto dello sciopero dei mezzi ed ha usato il suo. Solo che adesso sta tornando a casa perché evidentemente non tutti hanno avuto la sua idea o un cavallo da usare al posto dell’autobus.
Dal finestrino passano piccole case umili, disseminate lungo la provinciale, ogni tanto una capanna che funge da Kiosco, dove si vende anche frutta e verdura e per il resto campi, campi sterminati, con le mucche al pascolo. Pare che questa sia una zona molto famosa per la bontà del latte. Perché la terra è buona. E se la terra è buona allora l’erba è ricca e la mucca mangia bene. E lei ringrazia fornendo latte di prima qualità.
Si arriva al podere. Proprio come te lo immaginavi. Un piccolo ranch dell’America del Sud con la staccionata e il pesante cancello di legno che ad aprirlo ti immagini debba arrivare un tipo con gli stivaloni e il cappello da Cow Boy. Un albero secolare campeggia davanti alla casetta posta nel mezzo della proprietà e in un angolo del podere l’immancabile “quincho” cioè quella costruzione in pietra che include lo spazio per la parrilla (la griglia), il forno all’aperto e un tavolino in pietra davanti. Inizia il rituale di preparazione dell’asado. È freddo, il sole fa quello che può, ma bisogna capirlo: è da un’altra parte, occupato ad infiammare la nostra estate e qui arrivano solo i suoi raggi color malinconia.
Si da fuoco alla legna, si pulisce la griglia, si prepara la carne. In casa si accende la stufa, sempre a legna, e si apparecchia la tavola. Mentre compi quei gesti concreti, quotidiani, in un certo senso primitivi, ti sembra di essere più vicino alla vita vera e anche l’inverno finisce per diventare accettabile, anzi bello. È strano: non ti piace, ma quando c’è, te ne viene perfino la voglia.
Il caldo buono della stufa, l’odore di legna bruciata, il lento ma costante srotolarsi di quei 7 anni fra racconti e confidenze, quell’aria di amicizia vera mai intaccata da 12.000 km di distanza e il sapore inconfondibile di quella carne e all’improvviso ti accorgi che state parlando da ore. E soprattutto ti accorgi che stai bene lì dove sei, ai confini del mondo, in quella casina circondata da chissà quanti ettari di campi e di pascoli, con un silenzio assoluto tutto intorno e un amico vero dentro. Chi vive qui sente di essere geograficamente vicino alla fine della terra. Gli argentini si portano dentro il marchio del sud, inteso come sud del mondo, come vicinanza al punto estremo delle terre emerse. Lo disse anche papa Francisco (qui lo chiamano così) nel suo primo disorso, non so se vi ricordate: “il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma, i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo”.
Mentre fuori già fa buio e guardi il tuo amico parlare, ti rendi conto che il tuo universo in quel momento sta tutto in una buona stufa, un tavolo con su due bicchieri di vino rosso e un’insolita sintonia con un’altra persona. E ti viene da pensare: “che strano che in questo momento, mentre siamo qui quasi alla fine del mondo, esista da qualche parte Time Square, o Piazza Duomo, o la Sylicon Valley, quella che chiamano la civiltà, insomma”.
E mentre ritorni verso la città nel buio dell’abitacolo dell’auto con il riscaldamento acceso e le chiacchiere che continuano, ti sembra impossibile di essere stato quasi 10 ore senza internet. L’idea che oggi quelli che ti hanno cercato abbiano visto, inspiegabilmente e per tutto il giorno, solo una tacchetta accanto ai loro messaggi, ti dà uno strano senso di libertà. Certo, domani le spunte torneranno ad essere due e subito blu, ma per oggi, pensi, ho fatto il mio sciopero anch’io. Sciopero dalla civiltà.
Bello, una bella boccata d’ossigeno dalla frenesia di questa civiltà (sarà ancora poi così tale?). Certe situazioni di distanza dalla città, dalla tecnologia e invece vicinanza all’altro (la campagna e l’amico, non ritrovato, ma ri-incontrato) ti fanno rendere conto che alternative alla vita che si vive dalle nostre parti, ce ne sono. Però a volte, spesso, sempre, ci manca il coraggio di fare il salto definitivo. Allora ci accontentiamo di queste bellissime, e necessarie, boccate di ossigeno.
*conosco
*affascinante
Grazie, T9!
Il pregnante silenzio della campagna meridionale – sebbene ad altre e più comuni latitudini – io lo concosco, e posso dire che, di tanto in tanto, niente è più piacevole e affascinate che attraversarlo. È esso stesso un viaggio: dall’assenza delle solite cose…all’essenza di noi.