Tangologia, le periferie del Tango

Non è un caso che le riflessioni oggetto di questo articolo siano sorte proprio nel presente momento storico, mentre il tango è spento, proprio quando sulla porta del salone degli abbracci c’è un cartello con su scritto “chiuso per lutto (paventato)”.
A causa di quella scritta, nel nostro paese dei balocchi non possiamo entrare ormai da quasi un anno. Oppure si potrebbe ribaltare la questione e considerare il concetto di soglia dal punto di vista opposto.

Tutte le volte che vedo un musicista assorto nell’atto di suonare il suo strumento, o dei ballerini mentre “suonano” il loro corpo nella danza, sento che in quel momento essi non sono più lì, che sono andati da un’altra parte. Basta guardare un qualsiasi filmato di Anibal Troilo mentre esegue uno dei suoi assoli di Bandoneon ad occhi chiusi, o sgranati a fissare un punto imprecisato nel vuoto, mentre con la testa, reclinata leggermente su un lato, emette piccole scosse accordate al respiro del mantice che ha fra le mani, per capire che ci sta dicendo: “io sono altrove, se volete vi aspetto là”.
C’è chi ha detto che la musica è una possibilità che è data all’uomo per consentirgli di poter uscire da sé stesso. È un’affermazione che mi sento di poter estendere anche alla danza, e ancor più alla danza del tango, in cui per poter azionare il meccanismo del piacere, il nostro io deve negare i propri confini per annegare in quelli di un altro individuo.
E ora che questo dolce naufragar non ci è permesso, siamo condannati a un esilio al contrario nella terra desolata del nostro io, dove può sempre nascere il dolore, perché per quello, ahimè, basta un corpo solo, ma dove non potrà mai attecchire il piacere, quello intenso, vero, che ha bisogno dell’innesto di un alter ego, di un’altra pelle, di un altro corpo.
Nella fase storica che stiamo vivendo, gli slanci di un corpo verso un altro hanno perso la loro innocenza. Oggi il corpo è nocente o è assente: o fa male perché contagia, o si smaterializza nella bidimensione virtuale di uno schermo digitale, di un dis-play che, coincidenza beffarda, sembra messo lì per negarci la libertà del gioco, per spegnere le vibrazioni del pathos.
La regina dei nostri giorni è la distanza: didattica a distanza, riunioni a distanza, yoga a distanza. In un crescendo ossimorico che culmina nel tango a distanza.

Il pathos viene allora assorbito dal logos, il tatto lascia il terreno alla parola, il corpo svanisce, cartesianamente risucchiato dal pensiero: Cogito ergo Zoom.

Tuttavia, anche in presenza di severi limiti di azione, l’essere umano ha sempre la scelta fra due atteggiamenti opposti: lasciarsi de-terminare passivamente, dissipando le energie in lamenti, oppure dare spallate alle barriere che lo circondano, consapevole del fatto che, se non riuscirà ad abbatterle, quanto meno potrà forse imparare, rimbalzandoci contro, a saltare e, chissà, magari anche a volare. I limiti potranno così diventare il trampolino per la nostra creatività.
Allora, nel tempo in cui non è possibile seguire Lucignolo verso il nostro paese dei balocchi e degli abbracci, mentre aspettiamo l’aprile (the sweetest month?), non ci resta che ascoltare i consigli del grillo parlante e della fata turchina e, visto che dobbiamo comunque far finta di essere dei bravi ragazzi, tanto vale aprire davvero l’abbecedario, prima di rivendercelo per un biglietto d’entrata a una Milonga.
La prima spallata alle barriere della nostra condizione attuale può arrivare sotto forma di un dubbio:

“È sufficiente saper ballare il Tango per ballare bene il tango?”, che può essere formulato anche per altri ambiti e discipline. Ad esempio: “basta avere le competenze di un elettricista per essere un buon elettricista?” Oppure: “Si può suonare bene Chopin senza conoscere la storia e l’arte del romanticismo?”
“Aver letto Goethe aiuta un pianista a interpretare meglio una sonata di Beethoven?”.

Queste domande, per le quali, si sarà capito, si presuppone una sequenza di risposte fatta di tre no e un sì finale, nascono dalla consapevolezza che per ogni disciplina, mestiere o professione artistica che sia, sono necessari due tipi di conoscenze: quelle dirette, da cui scaturiscono le competenze centrali e quelle indirette che sviluppano invece le competenze periferiche. Le prime costituiscono il nucleo di ciascuna disciplina, che per il pianista sarà rappresentato dallo studio e dalla pratica assidua della tecnica e dell’interpretazione dello strumento, mentre per il ballerino di tango saranno le lezioni e la pratica, sia in modalità improvvisazione nelle Milonghe, che in modalità prove coreografiche in uno studio di danza.
Attorno a questo nucleo, ci sono poi molti altri cerchi che progressivamente si allontanano dal centro, ma che dalla loro periferia sono capaci di irradiare sulle le abilità primarie luci, sfumature, intensità e profondità.
Di fronte a una tale geografia delle competenze, gli individui si dividono in due gruppi: coloro che vedono solo il nucleo centrale e si muovono esclusivamente dentro il suo perimetro, e coloro che,  con una spallata, in quel perimetro hanno aperto una breccia, attraverso la quale, insieme all’aria fresca di una notte estiva e al canto dei grilli, è entrata anche la luce fioca e incerta della miriade di zone periferiche la cui frequentazione ha il potere di approfondire la conoscenza e affinare la pratica della loro arte o del loro mestiere.
I primi tendono di solito all’arroganza, perché credono che le competenze, per quanto di difficile acquisizione, siano circoscritte in numero e genere. I secondi, invece, praticano di solito l’umiltà, perché hanno la socratica contezza della vastità del sapere che ancora sfugge alla loro presa.

Nel tentare un elenco, sicuramente non esaustivo, dei cerchi periferici che circondano la prassi del tango, possiamo menzionare la comprensione della sua musica, della sua storia, la conoscenza della società e della cultura dell’Argentina, della sua lingua per comprendere i testi che balliamo, la familiarità con altre forme musicali, come ad esempio l’opera lirica, da cui il tango ha mutuato stilemi sia compositivi che interpretativi. O ancora i fondamenti della filosofia della danza, della filosofia della musica o addirittura della filosofia tout court.

La convinzione che sapere di più aiuti a saper fare meglio, mi ha incoraggiato a creare, un paio di mesi fà, uno spazio, una sorta di rubrica settimanale in cui propongo delle passeggiate in alcune di tali periferie, che è tutto ciò che possiamo fare, ora che l’accesso al centro ci è vietato.
Non potendo uscire a giocare, ogni martedì alle 19.30 sfogliamo alcuni capitoli dell’abbecedario che, a cose normali, non godeva forse della nostra dovuta attenzione. Qualcuno di noi, chissà, si affezionerà alle sue pagine e deciderà poi di non disfarsene, anche quando potremo finalmente smettere di fingerci bravi ragazzi per tornare a scalmanarci nelle sale degli abbracci.
Nel periodo di prova di novembre e dicembre scorsi queste lezioni – incontri – chiacchierate (gratuite e aperte a tutti) hanno riscosso un certo interesse. Così che, visto che del lockdown del tango non si intravvede ancora la fine, martedì 12 gennaio, dopo la pausa natalizia, le riprenderò dando loro una forma più delineata e perfino un titolo vero e proprio. Il ciclo si chiamerà Tangologia, le periferie del Tango.

Il nome non è affatto casuale: Tangologia potrebbe apparire come una contraddizione, perché accosta la sfera sensuale del tango alla apparente freddezza razionale del logos. Nella nostra cultura, logos e pathos, pensare e sentire, ragione e intuito, o – per dirla con Nietzsche – Apollo e Dioniso si sono sempre guardati in cagnesco da campi opposti, l’uno convinto della propria superiorità sull’altro.
La piccola sfida che con questo titolo mi propongo è quella di superare il dualismo platonico-cristiano-cartesiano fra res cogitans e res extensa, fra mente (o anima) e corpo e di trattare gli argomenti dei prossimi martedì partendo dalla premessa che il corpo è una parte del cervello e che l’anima non è altro che il nostro respiro, il quale mentre balliamo si accorda e si fonde con quello dell’altro. I contenuti futuri dello spazio del martedì, sia che vertano sulla musica, sulla filosofia, sulla storia o sull’antropologia, avranno dunque come protagonisti il corpo che parla, la parola che abbraccia, la carne che pensa e la mente che suda.  

Gli incontri sono gratuiti e aperti assolutamente a tutti e si svolgono tramite la piattaforma MEET. Per informazioni su come prenotare https://www.movimentotango.com/lezionionline. Prossimo incontro martedì 12 gennaio ore 19.30

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3 pensieri su “Tangologia, le periferie del Tango

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